Spazio

I veicoli spaziali abitabili

soyuz

I primi progetti di veicoli spaziali vedevano a bordo la presenza umana. Si trattava di veicoli alati capaci di volare nell’atmosfera e nello spazio. I primi esperimenti scoraggiarono la realizzazione di tali veicoli, il cui sviluppo sarebbe stato oltre le capacità economiche, tecnologiche ed i tempi di realizzazione troppo lunghi.

I primi veicoli erano semplicemente degli involucri che dovevano garantire la sicurezza degli occupanti. Tali veicoli sono meglio conosciuti come capsule o navicelle spaziali. In alcuni casi erano letteralmente cucite addosso all’equipaggio, quasi indossate. Tali veicoli rispondevano a requisiti operativi minimi. Le riserve di energia e di propellente o erano inesistenti o avevano un’autonomia estremamente limitata.

Si applicava alle capsule la stessa filosofia dei missili, ovvero liberarsi di tutti gli apparati inutili scomponendo il veicolo in più moduli. Il modulo principale era la capsula stessa, adibita a servire come vero mezzo di trasporto dell’equipaggio. Sotto la capsula era invece sistemato un modulo di servizio con i generatori d’energia elettrica, serbatoi e tutto quanto occorreva alle manovre ed al mantenimento in vita dell’equipaggio. Alcune capsule sono dotate di un ulteriore modulo utilizzato come volume abitativo e stiva per l’equipaggio. Sia questo modulo aggiuntivo che il modulo di servizio si sganciano dalla capsula nelle fasi che precedono il rientro in atmosfera.

Progettare un veicolo che deve trasportare un equipaggio è ancora oggi una sfida tecnologica. Infatti il veicolo deve essere pressurizzato. Deve mantenere al suo interno una pressione, temperatura e composizione dell’aria entro certi limiti. Deve trasportare serbatoi per l’acqua ed offrire un minimo confort in quelli più evoluti, senza contare i numerosi dispositivi di sicurezza ed emergenza, il quadro comandi e spazi per gli esperimenti. E’ incredibile quante attrezzature possono essere portate a bordo delle capsule spaziali.

L’equipaggio non può disporre di cuccette, locali cucina ed altri locali che rendano più abitabile lo spazio. La filosofia è un pò quella dei velivoli militari dove il confort è sacrificato al fine del mezzo. Nonostante gli spazi angusti e ristretti delle capsule, gli equipaggi hanno sopportato i disagi portando a termine le missioni loro assegnate.
Anche le capsule sono progettate in base alle manovre che saranno destinate a compiere durante tutto l’arco di una missione. Le differenze, seppur minime, sono comunque evidenti e spesso rendono unici i vari modelli.

Tipologie di veicoli spaziali

I primi tipi, primi anche in ordine temporale, sono le capsule tipo Vostok e Voskhod, evoluzione delle prime. Sono il tipo di capsula più semplice che si possa realizzare. Si tratta di sfere cave. Prive di propri sistemi propulsivi, queste capsule effettuavano un rientro puramente balistico. L’equipaggio non poteva infatti effettuare nessun tipo di manovra una volta che la capsula si sganciava dal modulo di servizio.

A guidare la capsula nelle delicate fasi del rientro era la struttura stessa, realizzata con uno spessore maggiore nella parte destinata ad affrontare l’attrito con l’aria. La capsula si portava da sola in posizione essendo il centro di massa del veicolo spostato proprio dalla sua parte. Il sistema si rivelò valido ed efficace, tanto che le capsule Voskhod sono ancora oggi in produzione, ma sono utilizzate solo per voli disabitati dove c’è la necessità che il carico ritorni sulla Terra. Tutti gli altri tipi di capsula invece, pur potendo effettuare un rientro balistico, sono state progettate perché il rientro sia pilotato.

Queste sono di forma conica come le Mercury, le Gemini e le Apollo, o fusiforme tronco come le Soyuz e le ShenZhou, solo per via della posizione che hanno una volta poste in cima al missile lanciatore, se esse diventano la parte terminale vera e propria del missile o sono protette da appositi pannelli.

Ecco per concludere un breve elenco del tipo di veicolo che ha raggiunto lo spazio esterno e della sua nazionalità in ordine quasi cronologico.

Tipo Nome Nazionalità
Capsula a rientro balistico Vostok URSS
Aerorazzo in volo suborbitale X-15 USA
Capsula a rientro pilotato Mercury USA
Capsula a rientro balistico Voskhod URSS
Capsula a rientro pilotato Gemini USA
Capsula a rientro pilotato Apollo USA
Capsula a rientro pilotato Soyuz (T, TM, TMA) URSS/RUSSIA
Navetta spaziale Columbia (perso nel 2001) USA
Navetta spaziale Challenger (perso nel 1986) USA
Navetta spaziale Discovery USA
Navetta spaziale Atlantis USA
Navetta spaziale Endeavour USA
Navetta spaziale (un solo volo, in automatico) Buran URSS
Capsula a rientro pilotato ShenZhou (Soyuz su licenza) CINA
Aerorazzo privato in volo suborbitale SpaceShipOne USA

Rientro della capsula in atmosfera

Tutte comunque presentano uno scudo termico convesso che freno la capsula alle velocità ipersoniche a cui avviene il rientro. La capsula può rimbalzare contro l’atmosfera terrestre, quindi a guadagnare di nuovo quota. Nel frattempo lo scudo termico si raffredda ed al successivo impatto con l’atmosfera dovrà sopportare degli sforzi minori. Questa manovra è definita “piastrellare“, come un sasso piatto lanciato su uno specchio d’acqua che lo rimbalza più volte.

rientro della soyuz

Per fare tutto questo ovviamente occorre un controllore, perché il veicolo tende a cambiare assetto non essendo in equilibrio. Durante la fase di rientro in atmosfera intorno al veicolo si sviluppa un cono d’aria ionizzata, vagamente simile a fiamme, che ostacola le comunicazioni via radio.

Terminata la fase di rientro, la capsula inizia a precipitare. Lo scudo termico ha infatti perso le sue proprietà aerodinamiche che possiede solo in volo ipersonico. A questo punto si aprono i paracadute che accompagnano la capsula fino a terra. Alcuni tipi di capsula, molto prima di toccare terra si liberano dello scudo termico. Questo è infatti un elemento molto pericoloso perché ancora rovente e nell’impatto con il terreno potrebbe provocare un incendio. Infine, a poca distanza dal terreno alcune capsule possono utilizzare degli speciali retrorazzi per garantire un urto soft.

Altre capsule invece si preferisce farle ammarare. L’impatto con l’acqua è certamente meno duro di quello con la terra, inoltre le capsule sono a tenuta stagna ed il rischio che affondino è piuttosto remoto. Una volta impattato la superficie di un oceano si aprono speciali salvagenti per consentire la galleggiabilità della capsula.

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